Per la Cassazione i familiari devono essere risarciti non solo per la sofferenza soggettiva per la sorte del parente, ma anche per il peggioramento delle proprie abitudini di vita.

È questo il principio con cui la Suprema Corte di cassazione con recentissima sentenza, la n. 28220/2019, ha stabilito che dall’invalidità anche solo parzialmente invalidante del congiunto possono derivare sia il dolore per la menomazione del proprio caro, sia la necessità di un impegno di assistenza che determina in maniera apprezzabile un peggioramento delle abitudini di vita di chi la presta.

In altri termini, il familiare di un paziente danneggiato può subire sia una sofferenza soggettiva che un mutamento peggiorativo delle proprie abitudini, ossia due pregiudizi che, se seri e gravi, devono essere risarciti, a prescindere dal fatto che l’invalidità del congiunto sia parziale e dal fatto che i familiari sui quali grava l’onere di assistenza siano più di uno.

Quanto al merito della prova del danno non patrimoniale patito dai prossimi congiunti del paziente vittima di errore medico, la Corte ha precisato che la stessa può essere desunta anche solo dalla gravità delle lesioni, purché l’esistenza di tale danno sia stata debitamente allegata nell’atto introduttivo del giudizio.

In particolare, per provare la sofferenza morale del familiare della persona lesa, è possibile fare ricorso alla prova presuntiva che, come affermato dalla stessa Corte affidandosi a quanto già sancito con precedenti pronunce, “deve essere cercata anche d’ufficio, se la parte abbia dedotto e provato i fatti noti dai quali il giudice, sulla base di un ragionamento logico-deduttivo, può trarre le conseguenze per risalire al fatto ignorato”.

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