La creazione di un falso profilo Facebook, o su un altro social network, attraverso l’utilizzo di dati personali altrui configura il reato permanente di trattamento illecito dei dati.
È questo il principio statuito dalla Suprema Corte di Cassazione con la recentissima sentenza n. 42565/2019.
Per i Supremi Giudici infatti la creazione di un falso profilo su un social network attraverso l’utilizzo di dati personali altrui configura il reato di cui all’art. 167 del d.lgs. n. 196/2003 vigente ratione temporis per l’illegittima diffusione dei dati personali, che si caratterizza per la continuatività dell’offesa derivante dalla persistente condotta volontaria dell’agente di diffusione programmaticamente destinata a raggiungere un numero indeterminato di soggetti.
In particolare, la terza sezione penale della Suprema Corte chiarisce alcuni aspetti interessanti del reato previsto dall’art. 167 (trattamento illecito di dati) del vecchio codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. n. 196/2003) prima dell’avvento del regolamento UE n. 2016/679 e quindi del d.lgs. n. 101/2018.
Il caso in esame concerneva la creazione di un falso profilo su un social network da parte dell’autore del reato utilizzando i dati personali della vittima.
Nel caso di specie, quindi, la condotta di diffusione, in quanto programmaticamente destinata a raggiungere un numero indeterminato di soggetti, si caratterizza per la continuatività dell’offesa derivante dalla persistente condotta volontaria dell’agente (che ben avrebbe potuto rimuovere i dati personali resi ostensibili ai frequentatori del social network).