Per la Cassazione non è reato minacciare lo sfratto se l’inquilino non paga l’affitto. È questo il principio con cui la Suprema Corte ha statuito il principio per cui il danno minacciato non è ingiusto in quanto l’affermazione di adire le vie legali rappresenta l’esercizio del diritto del proprietario dell’immobile.

In particolare, per i Supremi Giudici non commette reato il locatore che “minaccia”  lo sfratto al conduttore moroso qualora persista nel mancato pagamento dei canoni. Il danno minacciato non è ingiusto, come necessariamente richiesto dall’art. 612 c.p., ma rappresenta l’esercizio del diritto del proprietario dell’immobile di intimare lo sfratto per morosità.

Lo ha chiarito la quinta sezione penale della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 563/2019 con cui è stato definitivamente assolto l’imputato dal reato di minaccia nei confronti dell’inquilina morosa.

La signora era in ritardo nel pagamento dei canoni e il locatore aveva prospettato, qualora questa avesse continuato a non pagare, di “buttare dalla finestra tutti i suoi effetti personali e di distaccare le utenze”.

Secondo la donna si è trattato di una minaccia integrante l’ipotesi di reato di cui all’art. 612 c.p., ma la Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito ritenendo che non sia così.

Dalla ricostruzione operata dal giudice a quo emerge che il proprietario dell’immobile aveva intimato alla conduttrice morosa di lasciare l’appartamento e, secondo gli Ermellini, in tale condotta difetta il requisito oggettivo del delitto punito dall’art. 612.

Nel reato di minaccia, ricorda la Corte, è elemento essenziale la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male possa essere cagionato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente.

Nella specie, viceversa, il danno minacciato viene ritenuto non essere ingiusto, poiché rappresenta l’esercizio del diritto del proprietario di un immobile di intimare lo sfratto per morosità. Evento, peraltro, verificatosi, nel caso, all’esito di un procedimento giudiziario.

L’affermazione di adire le vie legali, in quanto esercizio di un diritto, non implica un danno ingiusto e, come tale, rimane estranea alla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612 c.p. con conseguente inammissibilità del ricorso.

Lascia un commento

Chiudi il menu