In caso di airbag non funzionante chi paga per le lesioni? In Italia, ai fini del risarcimento, è errato equiparare il distributore al produttore.

Per la Cassazione infatti non è sufficiente l’apposizione del marchio sull’autovettura a far considerare una società produttrice del veicolo il cui malfunzionamento ha provocato lesioni ai passeggeri.In particolare, per il Supremo Giudice non è sempre facile riuscire a capire chi sia il produttore del mezzo, soprattutto in un contesto come quello moderno in cui le società sono spesso costituite in gruppi che fanno uso del medesimo marchio.

Proprio per tale ragione, la mera apposizione del marchio sull’autovettura da parte della società che distribuisce in Italia il mezzo e che sia consociata a un gruppo internazionale non è idonea a dimostrare la proprietà del marchio stesso e di conseguenza non consente di considerare la stessa produttrice del veicolo in questione.

È questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella recentissima sentenza n. 21841/2019.

La vicenda approdava in Cassazione dopo la pronuncia della Corte d’Appello con cui il giudice di secondo grado accoglieva il gravame promosso dal conducente di un’autovettura e dal terzo trasportato che avevano subito dei danni in conseguenza di un sinistro stradale: in particolare l’auto aveva urtato violentemente contro il guard-rail e i due passeggeri avevano riportato lesioni personali anche per il mancato funzionamento degli airbag e delle cinture di sicurezza, dovuto a difetto di fabbricazione.

Da qui la chiamata in causa della società ritenuta proprietaria del marchio della vettura che veniva condannata al risarcimento. Tuttavia, in Cassazione, la suddetta società contesta il fatto che il giudice a quo l’abbia riconosciuta produttrice del veicolo: l’adozione del marchio nella denominazione sociale da parte di una società consociata di un gruppo internazionale, secondo la ricorrente, non è infatti di per sé probante, né significativo, della proprietà del marchio.

In giudizio si evidenziava come i marchi siano registrati a livello internazionale dalla società che si pone al vertice del gruppo e vengano poi utilizzati da tutte le società del gruppo che trattano quei prodotti; e altrettanto si può dire dell’uso del marchio nella documentazione commerciale.

La Cassazione ricorda come la legge, nel dettaglio l’art. 3, comma 3, del d.p.r. 224/88, nella specie ratione temporis applicabile, stabilisce che ai fini della responsabilità per i danni causati dal prodotto “si considera produttore anche chi si presenti come tale apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione” (cfr. Cass., n. 29327/2017).

Tuttavia, anche gli Ermellini concordano sulla circostanza che, a livello internazionale, i marchi siano normalmente registrati dalla società capogruppo venendo poi utilizzati da tutte le società che del gruppo fanno parte. Nel caso di specie difetta proprio la prova che la società distributrice del veicolo in Italia avesse apposto sull’autovettura de qua il proprio marchio e fosse dunque da considerarsi come produttore.

Erroneamente, dunque, la Corte territoriale è giunta a equiparare il distributore in Italia al produttore, valorizzando elementi invero diversi da quelli previsti dalla suindicata norma.

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