La Cassazione ha analizzato il rapporto tra il diritto del creditore al recupero del credito ed il reato di molestia.

In particolare, per i Supremi Giudici incorre nel reato di molestia, ai sensi dell’art. 660 del c.p.: “chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo“.

Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, infatti, per petulanza si intende quando il soggetto agisca in modo pressante oppure impertinente o indiscreto, in maniera tale da interferire, sgradevolmente, nella sfera di altre persone, con disturbo della libertà e della loro quiete. Per biasimevole motivo si intende un movente riprovevole che dia luogo allo stesso effetto descritto sopra.
Per la sussistenza del reato occorre il dolo, perché il fatto deve essere commesso per petulanza (e cioè con arroganza, insolenza, sfacciataggine, ecc.) o per altro biasimevole motivo (per esempio, per fare dispetto). Non è necessaria la reiterazione degli atti, bastando anche una sola azione di molestia o disturbo.

La Corte di Cassazione, con sentenza 29292/2019, ha statuito che subissare il debitore di telefonate, integra gli estremi del reato di molestia ex art. 660 cod. pen. Secondo la Corte, il profitto avuto di mira non può essere considerato di valore superiore o anteposto all’esigenza del rispetto delle persone e della loro privacy.

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